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E mangia da Ebreo!

 

“Mangia da Ebreo ” è  un antico detto Italiano.   

  E mangia da Ebreo” conclude un vecchio detto italiano. Una raccomandazione che, avendo superato pregiudizi, odi e leggende nel corso dei secoli, sta a significare che questo popolo sa cucinare bene, molto bene. Dispersi dalle persecuzioni ai quattro angoli del mondo, gli Ebrei hanno assimilato varie tradizioni, riassumendole in una cucina influenzata anche dalle notevoli limitazioni alimentari prescritte dalla Legge e dalle ristrettezze economiche in cui gran parte di loro ha vissuto. Senza che ciò pregiudicasse il loro modo di mangiare, che anzi ne ha guadagnato in fantasia, creatività e allegria. Le ricette qui proposte sono tipiche degli Ebrei italiani, in particolare di quelli che vivevano nel sud della Toscana.
Un modo di dire che nel tempo è passato attraverso pregiudizi, svalutazione e  maldicenze fino ad arrivare oggi ad essere un apprezzamento per la cucina degli Ebrei.
Le ricette e le tradizioni culinarie di questo popolo sono state sempre  trasmesse, scambiate e  rivisitate.
Per questo nella cucina degli Ebrei Italiani troviamo ricette che risalgono agli Ebrei Sefarditi (quelli che una volta vivevano in Spagna e Portogallo) o agli Ebrei Aschenaziti  (centro e est Europa)  oltre a ricette che appartengono alla tradizione culinaria italiana.
La Torah ( La legge) con le sue regole nel’ alimentazione non ha prodotto una cucina fatta di ricette semplici bensì,  ha stimolato l’invenzione di  piatti variegati.

Infatti rimasero immuni alle restrizioni i piccoli feudi indipendenti al confine tra Toscana e Lazio, come la Contea di Pitigliano degli Orsini e quella di Santa Fiora degli Sforza e di Castellottieri degli Ottieri, oltre al Ducato di Castro dei Farnese.

In questi piccoli staterelli si rifugiarono numerose famiglie di ebrei, che potevano qui vivere più liberamente ed esercitare le loro attività, a cominciare dal prestito di denaro.

Numerosi furono i banchieri ebrei e tra questi spiccarono i familiari del famoso medico David de Paris, al servizio degli Orsini di Pitigliano e degli Sforza di Santa Fiora.

Anche a Pitigliano il gruppo ebraico si consolidò tanto da erigere un Tempio nel 1598.

Quando, ai primi se seicento, i Medici aggregarono al Granducato di Toscana anche le piccole Contee nel confine meridionale, gli ebrei qui residenti furono confinati nei ghetti.

Ma ben presto, rendendosi conto del loro notevole ruolo economico e commerciale, la condizione degli ebrei fu migliorata con la concessione di fondamentali privilegi personali.

Così gli ebrei di questa zona conservarono anche la possibilità di possedere beni stabili, del tutto eccezionale all’epoca.

Nel frattempo, verso Pitigliano si indirizzò una lenta, ma costante immigrazione di ebrei dai centri vicini, man mano che i gruppi e le Comunità ebraiche, che vi risiedevano, andavano in decadenza o scomparivano.

Significativo è l’arrivo di ebrei dalla città di Castro, distrutta 1649 e di cui Pitigliano fu moralmente l’erede.

Altri ebrei giunsero da Scansano, Castellottieri, Piancastagnaio, Proceno e poi nel settecento da Santa Fiora e Sorano, le cui Comunità ebraiche si avviavano alla fine, mentre Pitigliano rimaneva l’unica Comunità ebraica in Maremma.

Nella seconda metà del settecento, la riforma illuministica dei Lorena, nuovi Granduchi di Toscana, permisero anche agli ebrei di accedere parzialmente alle cariche comunali. Così a Pitigliano gli ebrei ebbero i loro rappresentati nel Consiglio comunitario.

A Pitigliano, unica erede delle “città rifugio” del territorio, le favorevoli condizioni conservatesi per secoli resero possibile lo svilupparsi di eccezionali rapporti di convivenza e di tolleranza tra la popolazione ebraica e quella cristiana, tanto che la cittadinanza venne designata come la “piccola Gerusalemme”.

Lo straordinario rapporto tra cristiani ed ebraici fu definitivamente cementato da un singolare episodio del 1799, quando il popolo e i maggioranti cristiani difesero gli israeliti dai soprusi dei militari antifrancesi, che volevano saccheggiare il Ghetto.

A ricordo dell’accaduto, la Comunità ebraica istituì un’apposita cerimonia, celebrata ogni anno nella sinagoga fino a qualche decennio fa.

Si apriva così l’Ottocento, il secolo di maggiore espansione demografica, economica e culturale degli ebrei di Pitigliano, che raggiunsero un’alta percentuale (fino al 12%) sull’intera popolazione pitiglianese.

Le istituzioni della Comunità ebraica si rafforzarono con la fondazione di una Biblioteca e del Pro Istituto Consiglio per opere caritative, grazie al generoso lascito nel 1854 di Giuseppe e Fortunata Consiglio.

Pitigliano fornì rabbini a varie importanti Comunità italiane e personaggi di levatura regionale al mondo ebraico, come i fratelli Flaminio e Ferruccio Servi, fondatori del “Vessillo Israelita”, primo giornale ebraico italiano, e Dante Lattes una delle più forti e poliedriche dell’ebraismo italiano del Novecento.

Per motivi commerciali Pitigliano divenne a sua volta centro di disseminazione di ebrei in numerosi paesi della Maremma toscana e laziale. Ma tutti rimasero legati alla Comunità di Pitigliano, alla cui Sinagoga usavano tornare per le maggiori festività religiose.

Le mutate condizioni economiche e sociali determinarono nel Novecento una lenta, ma costante, emigrazione degli ebrei pitiglianesi verso città e centri più grandi, finche le leggi razziali e le persecuzioni dell’ultima Guerra Mondiale accelerarono la fine della Comunità, la cui ultima fiammella si spense con la chiusura della Sinagoga nel 1960.

Ma durante la guerra molti ebrei si salvarono grazie alla generosa protezione della popolazione locale, che offrì ospitalità, rifugio ed assistenza nonostante i rischi evidenti nel momento più buio della storia.

Si chiudeva così degnamente la lunga vicenda di rapporti di tolleranza, di stima e molto spesso di amicizia e di affetto tra cristiani ed ebrei, che costituiscono il valore fondamentale dell’esemplare esperienza pitiglianese.

Perciò a Pitigliano, nonostante che gli ebrei siano oggi ridotti a poche unità, quell’antico rapporto continua in altre forme; da restauro e conservazione dei monumenti ebraici (Sinagoga, forno degli azzimi, bagno rituale, cimitero, ecc..) alla scelta di produrre vino cascher nella Cantina Sociale Cooperativa di Pitigliano, alla fondazione dell’Associazione “La Piccola Gerusalemme”, che ha come fine la promozione di iniziative per la valorizzazione della storia di Pitigliano.

Pitigliano, un villaggio medioevale della Maremma toscana costruito sul tufo come le vicine Sorano e Sovana, era conosciuta dagli ebrei di Livorno come la Piccola Gerusalemme: fin dal loro arrivo nel XIV secolo gli Ebrei di Pitigliano costituivano una larga percentuale della popolazione del borgo. Erano istruiti, professori, architetti, astronomi, musicisti, ma anche sarti, fotografi e meccanici. Nel 1556 Niccolò IV Orsini donò al suo medico personale, David de Pomis, un terreno per realizzare il primo cimitero ebraico. Nel 1598 seguì la Sinagoga. quando, nel 1608, la Contea di Pitigliano venne annessa al Granducato di Toscana, i medici costituirono il Ghetto.

Sono molteplici i motivi che portarono a questa incredibile concentrazione di ebrei in un borgo toscano, non ultima la sua posizione, così vicina al confine con lo Stato Pontificio, da dove gli ebrei erano spesso scacciati. Pitigliano, prima sotto gli Orsini e successivamente sotto i Medici, offriva invece una garanzia di libertà e di pacifica coabitazione con i Gentili.

Per secoli Ebrei e Gentili vissero gli uni accanto agli altri, rispettando le reciproche tradizioni. Con l’Unità d’Italia molti ebrei abbandonarono Pitigliano per raggiungere centri più grandi come Livorno, Roma e Firenze. Con le leggi razziali e la propaganda anti semita la comunità si ridusse notevolmente. Durante la II Guerra Mondiale i pochissimi ebrei rimasti a Pitigliano furono aiutati dalle famiglie del borgo, che li nascosero nelle campagne, o scapparono tra i partigiani.

La storia di questa comunità, i suoi ricordi toccanti, le sue tradizioni e le sue ricette, si ritrovano intatti nel libro di Edda Servi MachlinThe Classic Cuisine of the Italian Jews: Traditional Recipes and Menus and a Memoir of a Vanished Way of Life. Grazie a questo libro, che è ben più di un libro di ricette, ho potuto ripercorrere gli anni della giovinezza dell’autrice, nata a Pitigliano nel 1926, solo due anni prima di mia nonna. Il suo libro è un racconto di una vita ormai scomparsa, scandita da feste religiose e menu codificati nella tradizione.

A Pitigliano è ancora possibile visitare il Ghetto ebraico e i locali una volta occupati dal macellaio kasher, dalla tintoria, dalla cantina e dal forno delle azzime, aperto una volta all’anno per la cottura dei dolci e del pane azzimo negli otto giorni di Pasqua.

Le stesse fotografie del libro di Edda Servi Machlin sono appese alle pareti degli edifici del Ghetto, ritornano i nomi delle persone che una volta riempivano quelle stanze di risate, canti rituali e racconti, in un corto circuito tra storia e ricordi non miei.

Trascrivo, copiandola dal libro “La cucina degli Ebrei” edizione Stampa Alternativa, una ricetta tipica degli ebrei che vivevano a Pitigliano fino all’ultima guerra mondiale.
 
                                                                           Torzetti degli Ebrei 
La preparazione è molto semplice, anche se c’è un particolare apparentemente insignificante, ma di fondamentale importanza. Si tratta del metodo per stabilire l’esatto punto di densità dello sciroppo di zucchero, prima di versarlo nella farina. Si fa così: se ne mette una goccia sul pollice, poi si chiude il pollice sull’indice e lo si apre velocemente per quattro volte. Quando alla quarta apertura si forma un filo tra le due dita, allora lo sciroppo è pronto. 
Ingredienti:
Farina: 500 gr – Arance: 1 – Limoni: 1- Chiodi di garofano: 1 cucchiaino- Lievito in polvere: 1 cucchiaino

Zucchero: 200 gr-
Esecuzione :
Grattugiate la buccia del limone e dell’arancio. Mescolate alla farina e ad un cucchiaino di chiodi di garofano macinati, formate un monticello su un piano e praticate al suo centro un foro.

Portate a bollore 150 ml di acqua con lo zucchero, mescolando. Quando lo sciroppo raggiunge il giusto grado di densità, versatelo al centro del mucchio di farina, nel foro praticato.
Immediatamente cominciate a mischiare sciroppo e farina e formate un impasto.
Con un matterello tirate una sfoglia di circa mezzo cm. di spessore, da questa tagliate i torzetti, ovvero dei rombi di circa 5 cm. di lunghezza. Mettete i torzetti in una teglia da forno infarinata e cuoceteli a 200gradi per circa 10 minuti. Se la cottura è corretta i torzetti dovrebbero assumere un colore giallo pallido e produrre una bolla d’aria al centro.  





    

6 Comments

  1. Il lievito cioè «chametz» è vietatissimo durante Pesach perché evoca Egitto e schiavitù. Chametz si sviluppa quando il grano incontra l’acqua, cosa che può avvenire nel dividere chicchi dalla crusca. La Kasherut impone di escludere l’acqua.
    saluti

  2. Esatto, durante la Pesach che dura 8 giorni è vietato l'uso del lievito,in ricordo degli Ebrei che scappando dall'Egitto non trovarono il tempo per far lievitare il loro pane.
    Per rispondere in modo adeguato ho chiesto informazioni alla Piccola Gerusalemme!

  3. Grazie per la precisa risposta, ma allora perchè non possono usare lieviti naturali per la fermentazione del vino?

  4. Salve Anonimo, mi sono informata e la risposta è che il vino viene fatto una sola volta l'anno ma si deve poter bere anche nel periodo della Pesach.
    Spero che la mia risposta sia esaustiva, ciao e grazie del tuo interesse.

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