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Pranzo della domenica in famiglia a Pitigliano

Il pranzo della domenica.

E’ domenica… finalmente la morsa del lockdown si è un po’ allentata, siamo gialli rafforzati. Dopo tutti questi giorni di arancione… era ora!
Anche stamattina mi sveglio presto. Vado in cucina, alzo la serranda e meccanicamente preparo il caffè con la mia inseparabile moka:

“come è bella con quella sua forma a clessidra! ”, la appoggio sul fornello a fiamma bassa e aspetto seduta guardando fuori dalla finestra. E’ ancora buio fuori, mi piace svegliarmi presto al mattino.

A interrompere il flusso dei miei pensieri arriva il borbottio del caffè, diventa sempre più intenso man mano che sale fino a riempire la parte alta della caffettiera. L’aroma si diffonde nella stanza, quel profumo mi inebria e mi scuote, allontana i pensieri un po’ tristi e dentro me si affaccia il desiderio di farmi una passeggiata mattutina per le vie del borgo del mio paese, Pitigliano.

Mi vesto in fretta, lascio un biglietto per mio marito sul tavolo della cucina e scendo giù per le scale. Uscita dal portone l’aria fredda e asciutta mi colpisce, mi stringo nel giaccone e cammino spedita, contando a mente i passi. Abito nella parte nuova del paese, ma il centro storico dista circa 1 Km. La Statale 74 Maremmana è deserta, un’atmosfera irreale l’avvolge. Supero la pompa di benzina e l’Ospedale. Il piano della strada si abbassa leggermente e dolcemente; dopo la curva, la discesa accompagna i miei passi all’affaccio del Viale San Michele.

Mi fermo, è impossibile non farlo.

 

 

 

Anche se vivo qui da tanti anni, ogni volta provo una sensazione di sollievo e ristoro nell’osservare il panorama… i colori delle foglie degli alberi virano dal verde dei sempreverdi all’ocra scuro, a tratti si intravvedono i rami spogli degli alberi. Penso a come sia cambiato il paesaggio da pochi mesi a questa parte, in autunno il foliage rende ancor più suggestiva la vista, e infine lo sguardo si posa sulla sagoma
del paese che ostinatamente prende forma e si ritaglia il suo pezzetto di cielo.

Guardo l’ora; sono passate da poco le 7,30.
Scendo, attraverso la curva e la Porta del Soccorso, cammino costeggiando l’acquedotto mediceo e arrivo nella piazza principale, Piazza Della Repubblica con le due fontane gemelle.

 

A sinistra gli archi con la fontana delle sette cannelle o dei Mascheroni e a destra il finestrone, o la Lombarda come alcuni qui la chiamano, con il monumento al Villano, dove la vista si perde fino al monte Amiata.

I piedi oggi decidono per me, e mi portano lontano dal solito tragitto, cioè da Via Roma, la via principale, mi spingono invece verso destra, per Vicolo Volturno che porta a via Vignoli, la Fratta.
Appena entro nel vicolo avverto il profumo della legna che brucia nelle case, guardo verso l’alto, e vedo dai comignoli sottili linee di fumo che si disperdono nel cielo. Qualche finestra ha già le persiane spalancate, il profumo di bucato delle lenzuola stese sembra salutarmi, e qualcuna
leggermente sospinta dal vento sembra fare un inchino… domenica…domenica.

Mi torna in mente una vecchia canzone che mia mamma cantava Domenica è
sempre domenica si sveglia la città con le campane… nanana nanana
nananannà…

Ed immediatamente ecco che davanti a me affiorano i ricordi prima del lockdown… un po’ nostalgici, vero!
Le narici, pronte e scattanti sentinelle, avvertono il profumo del ragù, quello fatto in casa che bolle ore e ore, e, prima ancora di esserne cosciente, quel profumo ha già aperto il cassetto dei ricordi e ci sta frugando dentro.

Ed ecco la tavola apparecchiata con la tovaglia ricamata, di quelle belle del corredo, i piatti del servito bono (qui da noi si chiama così) e i bicchieri a calice un po’ retrò anni ’50, che escono dalla credenza solo nelle occasioni speciali come lo è il pranzo della domenica.

Cammino nel vicolo e gioco con i miei ricordi e mi rivedo seduta a tavola a pranzo dai miei suoceri… il menù si alterna pantagruelicamente tra tortelli, tagliatelle, pollo arrosto, rollè di vitella con la frittata, patate arrosto e carciofi fritti… Oh mammina!
I tortelli sono i miei preferiti proprio perché così diversi da quelli di casa mia, fatti da mia mamma.

Con la dose intera ne devono uscire 100, belli pieni zeppi, di forma quadrata cm 10X10, e, soprattutto, con un pronunciato marciapiede intorno (la cornice che ruota intorno al ripieno deve essere larga almeno un dito).

Sfoglia di pasta all’uovo rigorosamente tirata con il lansagnolo 1 e poi il ripieno che a seconda della stagione e della disponibilità dell’orto, custodisce ricotta e bietoline o, in alternativa, spinaci o erbette di campo o ortica, una grattatina di noce moscata, una generosa manciata di formaggio parmigiano grattugiato.
E poi per finire i tortelli dolci… quelli conditi con zucchero e cannella che si mangiano freddi, ma non come dolce, eh! Sono considerati un primo!

Mia suocera li fa seguire al primo “primo”. Ricotta amalgamata con qualche fogliolina di nepitella (la menta selvatica che si trova passeggiando nei campi e nei sentieri della Maremma Toscana) sminuzzata a mano, e un fiorino 2 di sale.

Leggermente scolati dall’acqua di cottura, i tortelli si appoggiano su un vassoio e cosparsi dignitosamente da una miscela di zucchero e cannella, devono riposare e raffreddarsi, quel “riposo” è necessario affinché tirino fuori il sughetto che li avvolge, li bagna e li insaporisce.
Torno a casa felice e sorrido.

Autrice del Post la mia amica Sabrina D’Angelo